Era una notte buia e tempestosa

Era senza dubbio buia quella notte del 1946, la più lunga dell'anno, il solstizio d'inverno infatti. Ed era probabilmente tempestosa, come me la sono sempre immaginata, influenzato forse dalle molti notti che ricordo, ad Ostia, con il mare che non cessa di farsi sentire e il vento che invade le strade portando ovunque la salsedine. Spero che almeno non piovesse quando mio padre prese la bicicletta e corse a cercare il medico a tarda notte. Se non pioveva dovette comunque fare i conti col vento. Lo immagino che pedala in fretta nella strada deserta, col cappotto abbottonato, che arriva e che, lasciata la bicicletta al medico per farlo arrivare al più presto, ritorna a casa a piedi per due chilometri.
Forse camminò rasente i muri a causa del vento, forse troppo rapidamente e forse con aria sospetta ... fatto è che i carabinieri, a caccia dei responsabili di un furto commesso la stessa notte, lo fermarono per identificarlo. Non aveva comunque l'aria del ladro, il professore, a quei tempi magro come un asceta e chiaramente con l'aria dell'intellettuale, così alla fine riuscì ad essere presente quando nacqui.
Ecco, questa è la scena che fa da cornice alla mia nascita, come me la sono immaginata per anni, senza mai curarmi di verificare la consistenza di un racconto di cui ricordo peraltro solo pochi particolari. Ma tant'è, e comunque ho tutto nitido in mente, una scena in bianco e nero, tanto chiara da sospettare che, invece che costruita attraverso i racconti di mio padre, me la sia composta ex novo sulla base di qualche film del dopoguerra. In effetti, a pensarci bene, qualcosa che non quadra la posso pure indicare. Perché quel dottore che corre in bicicletta in una notte buia e tempestosa non corrisponde affatto alla figura un po' aristocratica che ho conosciuto in seguito, di poche parole, con la sua giacca e cravatta impeccabili, e i suoi modi lenti e distaccati. Ma si sa che i medici intimidiscono i bambini, e forse non era così distante come me lo sono figurato poi.
In questa scena non vedo invece mia madre che attende a casa. Di lei, giustapposta alla scena delle corse notturne, ho in mente invece la fotografia del matrimonio, persa molti anni fa, anche questa solo un ricordo. Sulla scalinata della chiesa, tra persone che non riesco a mettere a fuoco, lei e mio padre appena sposati. Niente abito bianco lei, piccolina in un cappottino scuro, e lui probabilmente con lo stesso cappotto con cui affronterà il vento qualche mese più tardi. Sorridono sobri, Febbraio 1946. Ho provato spesso a immaginare i loro pensieri di quei giorni, forse volti a dimenticare la bufera che hanno appena attraversato, e i lutti e lo spaesamento in un mondo incerto. Quali erano i loro progetti e sogni per il futuro? Il mazzolino di fiori, che mia madre ha in mano sembra essere lì per esorcizzare la malinconia. Non credo si concessero un viaggio di nozze; come potevano, la maestra e il professore, nell'indigenza di quegli anni?
Tempi duri e incerti. Quando io nasco, in quella notte buia e tempestosa, l'Italia è da poco diventata la Repubblica italiana e sta ancora scrivendo la sua Costituzione. Nella seduta di quel giorno, all'Assemblea Costituente si è discusso del ruolo del Capo dello Stato nella promulgazione delle leggi. Esattamente un anno e un giorno più tardi, il 22 Dicembre 1947, viene approvato il testo definitivo.


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