La Storia (come è distratta a volte!)

La notizia della morte di Michail Gorbaciov ha portato in superficie quanto rimuginavo da qualche tempo, nel mezzo di questo tornante della Storia che sembra riportarci indietro a settanta anni fa, quando ero bambino e la guerra fredda inquinava le nostre giornate come se vivessimo un’appendice della guerra appena finita, dominati da paure oscure che non sapevamo quanto fossero in realtà concrete.

Nell’aria che si respirava, la Russia e i comunisti erano considerati un pericolo che minacciava di volta in volta la religione, i costumi sociali, la vita civile, la sicurezza… Perché certamente noi eravamo i buoni e i russi erano i cattivi. Le mezze frasi e i silenzi eloquenti si esplicitavano a volte in racconti molto informati, come quando in una colonia estiva un bambino ci rivelò che i russi “cavavano gli occhi ai prigionieri e ci versavano dentro piombo fuso”. Eravamo a metà degli anni cinquanta, il bambino era figlio di un militare, e forse aveva esagerato un po’ anticipando di mezzo secolo lo stile pulp fiction, ma l’episodio descrive adeguatamente il clima di quegli anni.

Poi, per ciò che mi riguarda, lentamente le cose cambiarono, dentro e fuori di me, in un continuo dialogo tra i miei pensieri e la Storia, che peraltro sembrava ci mettesse di suo nell’alimentare il disgelo e lasciava intravvedere la possibilità di un mondo più giusto e in pace.

E infatti sì, alla fine di quegli anni della mia infanzia, spesso ancora con gli occhi di bambino mi accorsi del Concilio Vaticano II, del XX congresso del PCUS, delle lotte per i diritti civili, e mi sembrò che si potesse aver fiducia nel futuro e soprattutto negli uomini su cui si poteva contare per cambiare le cose. Anche sui russi, che con sollievo andavo scoprendo essere come noi. E anche sui comunisti che quasi quasi di noi erano il meglio e che mi sarei scelto come compagni di strada.

Da allora la Storia è andata avanti a tentoni, con alti e bassi, senza sapersi decidere, ma sembrava che comunque palmo a palmo guadagnasse strada e che le sorti se non magnifiche almeno fossero debolmente progressive e la guerra fredda stesse attenuandosi di anno in anno. Fino ad assistere a eventi decisivi come l’arrivo di Gorbaciov ai vertici dell’Unione Sovietica e come la caduta del muro di Berlino.

Sembrò che si chiudesse il cerchio del secolo breve e che le aspirazioni di democrazia, giustizia sociale e pace avessero ormai la strada spianata. Con sollievo accogliemmo i primi passi verso un concreto disarmo atomico.  I russi sarebbero stati con noi e tra di noi, protagonisti di un futuro migliore.

Ed è qui che la Storia si è distratta e non si è accorta dell’occasione, inspiegabilmente forse. O forse è ingenuo pensare che sarebbe potuto essere diverso perché, a guardar bene al passato remoto, è successo spesso che la Storia non abbia colto le occasioni di cambiamento e abbia preferito adagiarsi cedendo alla forza delle cose.

Così siamo tornati a quel futuro che settanta anni fa temevamo ci aspettasse.

(foto acknowledgment: Di White House Photographic Office - National Archives and Records Administration ARC Identifier 198588, courtesy Ronald Reagan Presidential Library:Source URL: http://www.reagan.utexas.edu/archives/photographs/large/c44071-15a.jpgSource page: http://www.reagan.utexas.edu/archives/photographs/gorby.html, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=258015)

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