Lo smarrimento di Maicche

C’è una novella, antica di trecento anni, che mi è tornata alla mente in questi mesi di guerra durante i quali è difficile ragionare di pace. L’avevo letta da bambino, ed infatti faceva parte di varie raccolte scolastiche che circolavano negli anni cinquanta, tutte derivanti da quell’antologia per le scuole secondarie inferiori curata da Giovanni Pascoli e pubblicata nel 1905 col titolo “Fior da Fiore”.

Cento anni fa, quindi, ma allora la novella aveva già duecento anni perché ne è autore l’Abbé de Saint-Pierre, eletto membro dell’Accademia di Francia nel 1695 e poi espulso nel 1718 per aver protestato contro l’adorazione postuma del Re Sole.

La novella anzitutto. E’ proprio una favola per bambini e parla di due amici, Baicche e Maicche, che vivono felicemente in una specie di Arcadia (collocata tra le isole del Mississipì) facendo la vita del buon selvaggio. Sono amici e collaborano e si scambiano doni e vivono in pace, fino a quando uno dei due non trova per caso un monile prezioso che utilizza subito come orecchino, generando la gelosia dell’amico. E così la vita dei due diventa un inferno piena di aggressioni e rappresaglie reciproche che distruggono le isole dove i due avevano vissuto in pace. Fino alla battaglia finale, un corpo a corpo cruento alla fine del quale Maicche uccide Baicche e si impossessa dell’orecchino. Ma quando prova ad appenderlo scopre di non avere più le orecchie e di aver combattuto invano. A questo punto “Maicche alzò il capo e si guardò attorno tutto smarrito. Vide le due isole devastate, due mucchierelli di tizzi dove erano state le due capanne, qualche pezzo di legno delle barche, il cadavere di colui che era stato suo amico”.

La novella si conclude così, con lo sguardo impietrito di Maicche che si rende conto dell’inutilità della distruzione del mondo in cui è vissuto. Senza retorica o altri commenti, nel modo più asciutto ed efficace per condannare la guerra. Ed è con questa conclusione che la novella finisce di essere una favola per bambini per divenire un monito indimenticabile che infatti mi ha seguito negli anni parlando alla ragione prima ancora che all’emozione.

D’altra parte l’Abbé de Saint-Pierre di argomenti per la pace ha riempito pagine e pagine e forse non tutti sanno che all’origine dell’ONU e dell’Unione Europea, ci sono le sue idee esposte in un trattato di cinque volumi intitolato “Progetto per rendere la pace perpetua in Europa” ripreso poi da Kant in modo più lucido e sistematico*. Io l’ho scoperto poco tempo fa inseguendo i miei ricordi d’infanzia e rispolverando la vecchia antologia per rintracciare l’autore della novella. 

Sì, lo smarrimento di Maicche torna in primo piano in questi giorni in cui è difficile ragionare di pace mentre la guerra è una realtà scontata e cavalcata in tutte le direzioni. E’ stato difficile nei mesi passati di fronte all’avanzata dell’invasione russa ed è difficile in questi giorni, quando la controffensiva ucraina la respinge ai confini.

Forse è il mio inguaribile illuminismo (certamente fuori tempo) che mi fa pensare che la pace deve essere possibile e che può esistere un nucleo coerente di principi che facciano giustizia delle ragioni che giustificano la guerra. E forse quando si parla di radici ed identità da difendere ci si dovrebbe accorgere che le idee l’Abbé de Saint-Pierre, per quanto utopistiche e visionarie, sono quelle di cui dovremmo vantarci, in una Europa che dopo la seconda guerra mondiale ha cercato di darsi un futuro senza guerra.

Trento, settembre 2022

* IL FEDERALISTA, rivista di politica, Anno XXXVI, 1994, Numero 3, Pagina 220.

foto dell'Abbé de Saint-Pierre, source: 
https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1923691

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