Settantasei anni e il grigio gomitolo del cervello

Da oggi ho settantasei anni, comunque in passato ne ho anche avuti dieci, e poi venti e trenta, e ancora quaranta e cinquanta per non parlare dei sessanta e settanta. Di tutti mi restano solo frammenti, più o meno consistenti, conservati come quegli oggetti rinchiusi nel cassetto più inutilizzato della scrivania o in una scatola sullo scaffale più alto della libreria. Spesso mi meraviglio di me stesso per come di tutto quello che è successo restino solo poche immagini e sensazioni, è come se la luce degli eventi che ho vissuto non riesca più a raggiungermi.

Poi mi dico che se dovessi ricordare tutto, esattamente come è successo, minuto per minuto, secondo per secondo, avrei bisogno di altri settantasei anni e non avrei spazio per il futuro che si diparte da questo istante, qui ed ora, quello in cui sto scrivendo le parole che state leggendo.

Così penso che i miei settantasei anni passati potrei ricordarli solo attraverso la scrittura di un romanzo che come tutti i romanzi lasci intendere più cose di quante ne riporti scritte nelle sue pagine. Oppure, ecco, avrei dovuto scrivere un diario, diciamo una pagina al giorno, anche se poi nelle oltre ventisettemila pagine che ne sarebbero venute fuori ritroverei oggi soltanto quei minuti impiegati a registrare sinteticamente la mia giornata, ma ciò che veramente accadde quel giorno sarebbe perduto per sempre o quasi.

Dunque occorre arrendersi: il gomitolo della memoria che Calvino prova a dipanare, si rivela inestricabile o, meglio, si scopre che il filo che si cerca di recuperare è malmesso, consumato, macerato a tratti, si spezzetta, perde il colore, si frantuma quando cerchiamo di prenderlo tra le dita. Il tempo ha fatto il suo lavoro e le leggi della fisica hanno guidato inesorabilmente il sistema attraverso stati di sempre maggiore entropia: è impossibile tornare indietro a quella successione ordinata di eventi che hanno composto i miei settantasei anni: lo vieta il terzo principio della termodinamica.

E allora concludo che è meglio così: meglio guardare avanti maneggiando con cura i ricordi o presunti tali: girarci intorno cercando di scoprire qualche particolare nascosto, ricostruirli, forse inventarli, dare loro il senso che si può scoprire solo a posteriori: con la certezza che in fondo sono reali adesso tanto quanto lo sono stati nel momento in cui sono diventati ricordi (l’attimo successivo al respiro che li ha tenuti a battesimo).

(Il testo riportato nella foto è l'incipit del racconto "Ricordo di una battaglia" di Italo Calvino)







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