Le parole e la regola del signor Palomar

E' dal 26 settembre che taccio, dopo che, istigato dalla vignetta di Altan, ho votato con la segreta ingiustificata speranza di sorprendermi e di veder ribaltati i pronostici della vigilia.  D'altra parte ho fatto mia, da tempo, la regola del calviniano signor Palomar  il quale

in un'epoca e in un paese in cui tutti si fanno in quattro per proclamare opinioni e giudizi [...] ha preso l'abitudine di mordersi la lingua tre volte prima di fare qualsiasi affermazione. Se al terzo morso di lingua è ancora convinto della cosa che stava per dire, la dice; se no sta zitto. Di fatto passa settimane e mesi interi in silenzio.

E così ho passato un mese intero in silenzio, ascoltando gli altri fare processi ai vinti e pronostici sui vincitori, sobbalzando al risuonar di parole antiche ma nuove. Ma, ora che la mia lingua è stata tormentata abbastanza, forse posso dire qualcosa di soppesato su quello che è successo in questo mese. 

Dunque le parole. Nazione e patria, anzitutto, che sembrano fissare lo schema interpretativo entro cui si muoverà il governo. Non so cosa queste parole suggeriscano ai giovani la cui esperienza formativa si è svolta in un periodo, altro da quello vissuto dalla mia generazione ... certo è che, guardando sul vocabolario in cerca di una definizione precisa (di quelle cui si è abituati in matematica) troviamo invece l'elencazione di sfumature di significato che riportano a contesti diversi tra loro. Ed allora le parole vanno riferite al senso sottinteso e condiviso da coloro a cui il governo si rivolge. Nel nostro caso ai fascisti eterni di Umberto Eco, da una parte, e dall'insopportabile mondo della sinistra, dall'altra.

Nel mio caso ho un ricordo personale, vecchio di più di mezzo secolo, che conferma l'interpretazione e a causa del quale sopporto con difficoltà i neologismi ripescati. Riguarda mio padre che aveva spesso occasione di parlare in pubblico e che una volta, al termine del suo discorso, fu avvicinato da qualcuno che lo elogiò per aver utilizzato, appunto, le parole nazione e patria. "Termini ormai disgraziatamente dimenticati e sostituiti con stato e paese" disse il tizio, e mio padre ci rimase così male che riscrisse completamente il suo discorso.

Ecco il filo che lega il linguaggio del nostro presidente del consiglio, non tanto al fascismo ordinario, quanto a quell'Ur-Fascismo che costituisce il carattere eterno del nostro paese e che si manifestava già mezzo secolo fa nella soddisfazione dell'ometto che provocò lo sgomento di mio padre.




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